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Ticinonline SA – Lugano’s Plan ₿ «Le banche ignorano le cripto perché non hanno competenze o per frenarne l’ascesa»

Ma la Svizzera le segue dagli inizi e non perderà il treno: ne è convinto Filippo Moor, Senior Manager di ONE swiss bank

In che modo il sistema bancario svizzero sta accogliendo le valute digitali come Bitcoin e le stablecoin? E, ancora, quali sono le banche più “al passo” con la potenziale portata rivoluzionaria delle tecnologie blockchain e peer-to-peer? Di questo e molto altro abbiamo discusso con Filippo Moor, responsabile del Crypto Desk e Senior Relationship Manager presso ONE swiss bank, istituto finanziario che ha sede a Lugano, Ginevra, Zurigo ed è presente anche a Dubai.

Perché esistono attualmente delle differenze nell’approccio tra le banche elvetiche rispetto alle criptovalute? Che cosa causa, secondo lei, questo fenomeno?

«Per quanto riguarda la piazza finanziaria svizzera, gli unici due istituti veramente “a trazione digitale” sono Sygnum e SEBA, che hanno ricevuto la licenza bancaria nell’agosto del 2019: il loro modello di business è, di fatto, incentrato al 100% sulla clientela interessata a servizi che vanno dalla custodia alla possibilità di fare trading, all’asset management advisory di, per e con valute con queste caratteristiche.  La seconda, a mio parere, si rivolge in modo più specifico ai clienti bancari privati, mentre i primi si concentrano di più sul supporto alle aziende. Perfino spingendo lo sguardo verso un contesto globale, nel settore bancario “tradizionale” si registrano ancora pochi attori in movimento verso questa direzione. Poi ci sono banche come ONE swiss bank che possiamo definire “crypto friendly” perché accettano clientela i cui assets derivano anche dal settore cripto e blockchain.

Ritengo che questa differenza possa derivare da due questioni: molti istituti temono l’avvento di una rivoluzione inarrestabile e, non accodandovisi, vogliono provare a frenarla o a ignorarla, mentre altri non conoscono il tema e dovrebbero acquisire persone e competenze, per affrontarla. La market cap delle criptovalute, a oggi, ha numeri interessanti, ma piccoli, perché vale circa 1.3 trilioni di franchi, il 43% della quale è relativa a Bitcoin. Non un granello di sabbia, ma quasi, se rapportato ai volumi mossi dalla finanza tradizionale. È dunque soprattutto una questione che definirei di “appetito di rischio”.

C’è, insomma, una certa tendenza a restare alla finestra, anche perché l’assenza di una regolamentazione sostanziale e ben strutturata, in ambito globale, crea ulteriore scetticismo. Da questo ragionamento va esclusa la Svizzera, che fa eccezione, poiché sa già come affrontare gli asset cripto sotto il profilo fiscale, la FINMA – Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari, ndr –, ha definito le tipologie di token già nel 2017, e la SIX ha attivato un dipartimento totalmente dedicato a valute e strumenti finanziari digitali (SDX).

Ci sono ancora delle lacune a livello legislativo e regolamentare, ma penso che nuovi, grandi movimenti si avvieranno quando alcune grandi banche entreranno in questo campo. A quel punto, l’adozione da parte d’istituti e persone arriverà più rapidamente. Come orizzonte temporale necessario per appianare le differenze di approccio tra banche, con riferimento alla Svizzera, immagino circa cinque-dieci anni».

Quale treno rischiano di perdere, a suo modo di vedere, le banche che non si stanno già attrezzando per abbracciare questo mondo?

«In sintesi, rimanere fuori dal settore delle criptovalute può esporre le banche al rischio di perdersi buona parte della futura generazione di clienti. I giovani di oggi – ma questa è già un’evidenza – andranno in banca molto meno delle generazioni precedenti: faranno tutto online, in modo immediato, soprattutto scambiando fondi tra loro, tramite smartphone e utilizzando innovazioni come l’intelligenza artificiale. Molti app wallet, cioè portafogli digitali accessibili in modo sicuro dal proprio cellulare, integrano già molte valute, e le criptovalute si aggiungeranno a esse, e saranno scambiabili istantaneamente. Il più grande ostacolo a questo tipo di adozione per le altre generazioni sono infatti le complessità legate all’attuale tecnologia, una su tutte la difficoltà di dover conservare e ricordare chiavi di accessi per firmare le transazioni. La sicurezza, dunque, dovrà andare di pari passo con una maggiore semplicità, con l’obiettivo di colmare questo divario.

Altri passi falsi dell’attuale sistema bancario – come quelli che abbiamo vissuto recentemente – potrebbero inoltre accelerare lo spostamento non solo verso asset o istituti percepiti come tradizionalmente “più sicuri”, ma anche verso un approdo più a breve termine verso il Bitcoin, visto come alternativa all’oro fisico. Mi piace rimarcare questo paragone, perché lo considero come un valido e stabile deposito di valore a lungo termine, al contrario di ciò che possono offrire oggi molte banche, proprio come nel white paper di Satoshi Nakamoto (il primo e unico scritto del creatore di Bitcoin, datato 2009, ndr)».

L’istituto bancario per cui lavora come si sta evolvendo, per rispondere alle esigenze di cui sopra?

«Ci concentriamo principalmente sulla clientela privata, in particolare su coloro che, possedendo criptovalute comprandole agli inizi o per via soprattutto del trading o del mining, desiderano avere un punto di riferimento per collegarsi al sistema finanziario tradizionale. Ed è fisiologico che l’approccio funzioni, perché, a parte che a Lugano, dov’è possibile utilizzare Bitcoin, Tether e LVGA anche per pagare i servizi comunali e per acquistare una casa, un’auto o un caffè, è necessario comunque, per chi possiede valute digitali passare attraverso quelle tradizionali.

Ecco: per convertire questi asset in valuta tradizionale, è necessario avere come approdo una banca, ma la maggior parte degli istituti non accetta transazioni di questo tipo per i motivi spiegati prima, mentre noi sì, perché conosciamo bene il settore e sappiamo come effettuare i controlli necessari, come l’analisi della blockchain. Le due diligence che effettuiamo sulla clientela sono molto accurate, poiché le registrazioni sui ledger (registri della blockchain, ndr) non mentono, ed è possibile verificare le storie raccontate dai clienti e ciascuna transazione in maniera trasparente e accurata, senza intermediari.

Questo processo può richiedere molto tempo, e in alcuni casi durare anche mesi, a seconda della storia e della complessità degli scambi. Una volta completati i controlli, diamo il via libera al cliente per trasferire i fondi dall’exchange o dal suo wallet custodial al suo conto bancario con noi. Chiaramente, poi, come ogni banca, cerchiamo d’indirizzare il cliente verso attività finanziarie “classiche” come la gestione patrimoniale».

L’analisi che ha tracciato pare dimostrare quanto possa essere trasparente il processo di verifica della provenienza delle criptovalute, contrariamente alla percezione comune.

«Esatto, è un “paradosso”, almeno rispetto a quello che la gente crede. Per poter gestire questo tipo di clientela, però, una banca deve avere al suo interno persone competenti nel campo delle criptovalute. Credo che questo lo scetticismo derivi da dinamiche simili al razzismo: si denigra ciò che non si conosce. Eppure, in realtà, secondo il Fondo Monetario Internazionale, solo lo 0,5% delle transazioni annuali in Bitcoin sono sospettate di essere legate a riciclaggio e criminalità organizzata, mentre si stima che, nello stesso arco di tempo, oltre 2 trilioni di dollari trasferiti in contanti e mediante altri strumenti finanziari tradizionali vengano destinati a operazioni illecite o legate al riciclaggio di denaro. Il fatto che la blockchain sia pubblica, univoca e trasparente, rende l’esistenza, l’origine e le dinamiche delle transazioni più facilmente tracciabili.

Molti dei fondi distratti da exchange cripto da hacker o proprietari “spariti” sono stati individuati e recuperati, proprio grazie alla natura della blockchain. Non tutti i casi hanno trovato risoluzione, ma questo esempio mostra che, se utilizzate con competenza e consapevolezza ed evolute in termini di sicurezza, le valute digitali e la blockchain possono offrire un livello di trasparenza e attendibilità superiore rispetto al sistema finanziario tradizionale».

Sorgente: «Le banche ignorano le cripto perché non hanno competenze o per frenarne l’ascesa» – Ticinonline



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