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Wired – Joel Khalili: Nessuno crede all’uomo che dice di aver inventato i bitcoin

L’informatico australiano Craig Wright deve dimostrare in tribunale di essere davvero il misterioso Satoshi Nakamoto, ma le testimonianze delle prime persone che contribuirono al progetto della criptovaluta sembrano smentirlo

Quindici anni fa Satoshi Nakamoto, una figura enigmatica di cui non si conosce quasi nulla, ha creato i bitcoin con l’aiuto di un gruppetto di personaggi stravaganti. La settimana scorsa, alcune di queste persone – che sono state tra le prime a lavorare alla criptovaluta e che nel frattempo sono diventate delle celebrità nel settore – sono salite sul banco dei testimoni di un tribunale di Londra per testimoniare contro un presunto impostore.

Dal 2016, l’informatico australiano Craig Wright sostiene di essere Nakamoto. Nonostante la tesi sia ampiamente contestata, Wright l’ha usata come base per avviare una serie di azioni legali contro sviluppatori e altri soggetti, nel tentativo di rivendicare i diritti di proprietà intellettuale sui bitcoin. La posta in gioco è alta: nel caso di vittoria, Wright potrebbe impedire agli sviluppatori di lavorare sul codice della criptovaluta e dettare i termini di utilizzo del sistema.

Il processo contro Craig Wright

Dall’inizio di questo mese un processo presso l’Alta corte di giustizia del Regno Unito sta cercando di verificare la teoria secondo cui Wright sarebbe il creatore dei bitcoin. La causa è stata intentata da un consorzio di aziende di criptovalute chiamato Crypto open patent alliance (Copa), che in sostanza chiede al tribunale britannico di certificare che Wright non è Nakamoto, limitando così la sua capacità di avviare ulteriori dispute legali. Il Copa sostiene che l’informatico abbia falsificato le prove a sostegno della sua rivendicazione e cambiato ripetutamente la propria versione dei fatti quando sono emerse nuove incongruenze. Per dimostrare le proprie ragioni, il consorzio ha chiamato in soccorso i primi bitcoiner.

Tra i testimoni del processo figurano Adam Back, Mike Hearn, Martti Malmi e Zooko Wilcox-O’Hearn, che a vario titolo hanno tutti contribuito allo sviluppo iniziale dei bitcoin. Con l’eccezione di Hearn, i testimoni aderivano alla classica immagine dei tecnologi. All’inizio del processo, Wright è stato sottoposto a un estenuante controinterrogatorio di sette giorni, durante il quale aveva respinto centinaia di accuse di falsificazione. La speranza del Copa è che le prove fornite dai bitcoiner contribuiscano a smontare la sua versione.

Quando nel 2008 Satoshi stava ultimando la progettazione del sistema bitcoin, parlò del progetto a una piccola comunità online di crittografi. Le discussioni sulla criptovaluta si estesero a nicchie del web occupate da anarchici e libertari, che apprezzavano l’idea di un sistema monetario svincolato dallo stato. Da questi due spazi si formò un gruppo di sostenitori del progetto deciso ad aiutare Satoshi. Come ha spiegato Back in tribunale, alcune di queste persone condividevano la convinzione che la tecnologia fosse uno “strumento di cambiamento positivo”, e c’era chi offriva consigli, codice o ancora il proprio lavoro. Dopo la scomparsa di Satoshi, nel 2011, è stato questo circolo limitato a portare avanti i bitcoin.

Le testimonianze dei primi bitcoiner

Le figure chiamate a testimoniare dal Copa hanno lasciato un’impronta forte sulla criptovaluta. Back ha creato una tecnologia iniziale chiamata Hashcash (di cui Wright contesta la rilevanza) ed è rimasto in contatto con Satoshi mentre quest’ultimo redigeva un white paper sulla critptovaluta. Malmi fu incaricato da incaricato della gestione di bitcoin.org, un sito che ospitava materiale informativo sul nuovo sistema. Hearn è stato uno dei primi a contribuire al codice di bitcoin. E Wilcox-O’Hearn è stato tra i primi a scrivere un blog sulla criptovaluta. Con la crescita dei bitcoin, questi collaboratori della prima ora sono diventati a loro volta oggetto di venerazione nei circoli crypto.

Le testimonianze che i bitcoiner hanno presentato al tribunale prima del processo sostengono la versione del Copa. Back ha descritto dettagliatamente uno scambio di email del 2008 in cui Satoshi sembrava non essere a conoscenza di una proposta del crittografo Wei Dai. Nella sua testimonianza scritta, Wright aveva però descritto il lavoro di Dei come fonte di ispirazione per i bitcoin. Malmi ha invece contestato la cronologia fornita da Wright sulla corrispondenza avvenuta tra lui e Nakamoto e la descrizione fatta dall’informatico sugli accordi tecnici relativi al forum bitcoin.org. Ma ha anche affermato che Nakamoto aveva accettato il termine “criptovaluta”, contrariamente a quanto riportato da di Wright. Nella sua dichiarazione, Hearn ha raccontato di una cena del 2016 in cui ha posto a Wright delle domande a cui riteneva che Nakamoto sarebbe stato in grado di rispondere. Alcune delle risposte dell’informatico sarebbero state “generiche e confuse”, mentre altre ricordavano “un finto linguaggio tecnico in stile Star Trek“. Wilcox-O’Hearn, infine, si è limitato a sottolineare che Satoshi non gli ha mai inviato bitcoin, contrariamente a quanto invece affermato da Wright.

Le email tra Satoshi Nakamoto e Adam Black

Nel corso delle giornate di mercoledì e giovedì, i testimoni sono stati interrogati sul contenuto delle loro dichiarazioni dai legali di Wright, Lord Anthony Grabiner e Craig Orr. Grabiner ha cercato di mettere in discussione l’affidabilità dei ricordi di Hearn e su un presunto conflitto di interessi di quest’ultimo e Back.

In particolare Back ha evidenziato come che le modifiche al codice base dei bitocin produrrebbero un effetto reale solo se adottate dalla maggioranza degli utenti. Anche se Wright dovesse riuscire a vincere il processo, insomma, non potrebbe apportare cambiamenti unilaterali al codice: “È come cercare di modificare le regole degli scacchi“, ha commentato Back.

Le email dove Satoshi Nakamoto e Martti Malmi discutono del termine “criptovaluta”.

Nella fase conclusiva del processo, la cui udienza finale è prevista per il 15 marzo, Wright tornerà alla sbarra per rispondere alle domande su altri documenti che ha presentato al tribunale all’inizio del procedimento. Dopo una perizia da parte di esperti di analisi forense dei documenti e di tecnologia crittografica, il giudice si ritirerà per emettere un verdetto.

Oltre ad avere importanti implicazioni per lo sviluppo futuro dei bitcoin, una decisione a favore di Wright metterebbe sotto una luce diversa il passato della criptovaluta. Il mistero intorno a Nakamoto è il cuore della mitologia dei bitcoin e ha permesso alle persone di formulare le proprie interpretazioni sulla figura e sul suo lavoro. “Satoshi era il mio eroe, e lo è ancora” ha dichiarato Wilcox-O’Hearn. Dal canto suo, Back non è più interessato a scoprire la vera identità del creatore di bitcoin da molto tempo: “Nel corso degli anni ho ricevuto molte email che sostenevano di provenire da Satoshi – ha detto in aula –. Ho smesso di leggerle“.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

Sorgente: Bitcoin, nessuno crede all’uomo che dice di averli inventati | Wired Italia



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