Microstrategy è un’azienda di software che si è convertita all’accumulo di criptovalute. E sta beneficiando della volata al settore dopo la vittoria dei Repubblicani
C’è un’azienda americana di software, Microstrategy, sconosciuta ai più, che in queste ore sta festeggiando la vittoria di Donald Trump. Il motivo? È stata baciata dai rialzi del bitcoin, che come tutte le criptovalute ha impresso una accelerata al suo valore quando l’ex presidente degli Stati Uniti ha iniziato a vedere un sacco di caselline sulla cartina colorarsi di rosso. E siccome Microstrategy è diventata una cassaforte mondiale dei bitcoin, la più grande al mondo, il suo titolo è volato per via della prospettiva che alla Casa Bianca approderà un sostenitore di politiche libertarie sulle criptovalute. E persino della fantomatica proposta di convertire parte del debito statunitense.
Come si diventa una cassaforte dei bitcoin
Mentre il 5 novembre, a urne aperte, il bitcoin ha toccato quota record 75mila dollari di cambio per qualche minuto, Microstrategy ha visto apprezzarsi il titolo del 10%. Ma perché questa società informatica che non brilla nel firmamento del software a stelle e strisce è così legata alla più importante tra le criptovalute? Fondata da Micheal J. Saylor, Sanju Bansal e Thomas Spahr nel 1989, Microstrategy si presenta sul mercato come un fornitore di software per l’analisi dei dati aziendali. Piattaforme che sono ancora, di fatto, il business principale dell’azienda, benché i ricavi dei primi tre trimestri del 2024 (116, 115 e 111 milioni di euro) siano in calo rispetto al trend degli ultimi due anni e le spese siano più del doppio.
L’attenzione del management sembra infatti concentrata altrove: sui bitcoin. Nell’agosto 2020 l’azienda annuncia il primo round di acquisto della criptovaluta, per convertire parte dei soldi in cassa e proteggersi dall’indebolimento del dollaro. È l’estate dopo la prima ondata della pandemia di Covid-19, il mondo non sa ancora cosa succederà nei mesi successivi.
Seguiranno altri acquisti ai 250 milioni di dollari iniziali, che hanno portato l’azienda ad accumulare 226.500 bitcoin alla fine di giugno, per un controvalore di circa 15 miliardi di dollari, ai valori della criptovaluta nei giorni immediatamente precedenti alla presentazione dell’ultima trimestrale, a inizio agosto. Di fatto, Microstrategy si è trasformata in una cassaforte di bitcoin, il più importante detentore aziendale a livello globale, e gli investitori hanno fatto due più due: comprare azioni della società equivale in qualche modo a investire in criptovalute, pur senza esporsi su un bene che i regolatori finanziari di tutto il mondo guardano di sottecchi.
I prossimi passi
Il 30 ottobre, durante la presentazione dell’ultima trimestrale, l’amministratore delegato e presidente Phong Le ha annunciato un piano di investimenti da 42 miliardi di dollari per acquistare altri bitcoin e consolidare questa posizione di cassaforte globale. Che a tendere, dato che il bitcoin è una risorsa finita, in termini di emissione, potrebbe dare a Microstrategy un ruolo strategico nell’influenzare questo asset. Non è un caso che i 42 miliardi siano divisi a metà: 21 in capitale e 21 in obbligazioni, perché rispondono alla “mistica” del bitcoin, il cui protocollo prevede che non ne potranno esistere più di 21 milioni. Una mossa azzardata, perché potrebbe appesantire l’esposizione debitoria dell’azienda.
“Le azioni di Microstrategy replicano l’andamento del bitcoin – spiega a Wired Ferdinando Ametrano, docente universitario e amministratore delegato di Checksig, società che fornisce servizi per l’acquisto la conservazione di criptovalute -. In tanti comprano le azioni di questa azienda per comprare bitcoin, è un modo per aggirare il blocco, la moral suasion, anzi moral dissuasion dei regolatori contro le criptovalute. L’Autorità bancaria europea ha reiterato l’invito alle banche a non comprare, vendere o detenere bitcoin”.
Banche e fondi
Tra gli investitori di Microstrategy c’è Norges bank investment management, il fondo pensione norvegese che reinveste i proventi che lo Stato incassa dalle concessioni petrolifere, ha annunciato di aver aumentato la sua esposizione verso Microstrategy. Al 30 giugno possedeva lo 0,89% della multinazionale di Tysons Corner, in Virginia, pari 217 milioni di dollari. Tre volte tanto rispetto a un anno prima, quando nel portafoglio del fondo, controllato dalla Banca centrale norvegese, c’erano azioni di Microstrategy per 70 milioni di dollari.
C’è da dire che è il Norges bank investment management ha iniziato a piazzare fiches su Microstrategy dal 2008. Quando il bitcoin manco esisteva e la società festeggiava i primi dieci anni in Borsa. È pur vero però che Norges Bank ha aumentato la sua esposizione verso Microstrategy proprio dopo l’avvio dell’operazione bitcoin, passando dai 39 milioni di dollari investiti nel 2020 ai 217 attuali. A una richiesta di chiarimenti di Wired, per capire se questi investimenti riflettano una forma di interesse del fondo verso il bitcoin, Norges Bank non ha risposto. Secondo Patrick Saner, a capo dell’area macro-strategia di SwissRe, compagnia elvetica di assicurazioni, il fenomeno è frutto della replica di indici fisici, che queste grandi istituzioni adottano per allocare le loro risorse, più che di una scommessa per interposta azione su bitcoin.
Microstrategy è un’azione che si è comportata molto bene sul mercato, con una crescita che ha superato persino quella di Nvidia, il colosso delle schede grafiche diventata una delle aziende più capitalizzate al mondo. Anche il Fondo pensione nazionale coreano ha acquistato quote. Mentre la Banca centrale svizzera detiene 466mila azioni e collocarsi sul 23esimo gradino nella classifica degli azionisti. A richieste di Wired l’istituto ha detto che “non commenta posizioni specifiche del suo portafoglio”, ma che “non investe in bitcoin”. “Noi non abbiamo deciso di investire in bitcoin per ragioni giustificate – aveva detto Thomas Jordan, presidente del consiglio di gestione, nell’ultima assemblea degli azionisti -. Abbiamo riserve valutarie che devono essere liquide, mantenere il loro valore e poter essere scambiate”.
Nel frattempo il patron di Microstrategy, Saylor (che detiene il 10,9% delle quote) nei giorni scorsi ha postato una sua immagine su X invitando a votare bitcoin. Ossia Trump, che quest’estate, a Nashville, in una conferenza del settore sostenuta dallo stesso imprenditore, ha promesso miracoli. Mentre nelle scorse ore ha pubblicato un secondo fotomontaggio, dopo il voto, in cui propone di fare di Washington la capitale dei bitcoin. Un promessa molto trumpiana. E che a Saylor interessa molto da vicino.
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